Uno studio su larga scala dimostra che il benessere può indurre migliori performance
Di Alessia Casonato
La pandemia, ed il dover lavorare durante la stessa, ha spinto i leader aziendali ad investire nella felicità della forza lavoro come mai prima d’ora. Mentre molti professionisti HR, se non la maggior parte, sono motivati da un’autentica cura per le persone, siamo tutti consapevoli, anche intuitivamente, che la felicità dei dipendenti dovrebbe migliorare le prestazioni lavorative.
Tuttavia, rimangono due domande da dover soddisfare: cosa viene prima, avere successo e poi essere felici, o essere felici e poi avere successo? E quanto conta la felicità iniziale?
I risultati di una ricerca condotta da Paul B. Lester, Ed Diener e Martin Seligman, professori alla Naval Postgraduate School’s Graduate School of Defense Management (GSDM) degli Stati Uniti, pubblicati sul Journal of Happiness Studies, ci hanno permesso di fare un grande passo avanti verso la risposta a queste due domande.
Per questo studio, sono stati seguiti quasi 1 milione di soldati dell’esercito americano per quasi cinque anni. Prima è stato chiesto loro di valutare il proprio benessere – o felicità – insieme all’ottimismo percepito, e poi è stato monitorato quali soldati avessero successivamente ricevuto premi in base alle loro prestazioni lavorative.
I dati raccolti provengono direttamente dal periodo nel bel mezzo delle guerre in Iraq e in Afghanistan, quindi la posta in gioco era molto alta: alcuni di questi premi erano per prestazioni esemplari, mentre altri sono stati assegnati per prestazioni straordinarie in azioni eroiche. Ricevere un premio nell’esercito, sia per prestazioni lavorative esemplari che per eroismo, è un evento relativamente raro.
Dei quasi 1 milione di soldati nel campione studiato, solo il 12% ha ricevuto un premio di qualsiasi tipo durante i cinque anni dell’osservazione.
Mentre ci si aspettava in linea generale che il benessere e l’ottimismo sarebbero stati importanti per le prestazioni, i ricercatori non immaginavano quanto veramente contassero. I soldati inizialmente più felici (quartile superiore) hanno ricevuto il quadruplo dei premi rispetto a quelli che erano inizialmente più infelici (quartile inferiore): un’enorme differenza nelle prestazioni tra quei gruppi, al netto delle differenze demografiche.
Alcuni potrebbero ignorare questi risultati, ritenendo che il mondo degli affari abbia poco a che vedere con la carriera militare. In realtà, gli eserciti nei vari paesi, nel loro complesso, possono essere considerati il più grande datore di lavoro al mondo, molto più grande dei lavoratori impegnati nella GDO, ed il motivo è presto detto: il ROI (return of investment) legato alla ricerca in campo militare varia dal 240% al 600%.
In breve, non solo la felicità e l’ottimismo contano per le prestazioni dei dipendenti, ma entrambi possono predire i risultati di performance dei dipendenti. Questa ricerca militare, insieme ad altre ricerche sulle scienze comportamentali degli ultimi 40 anni, evidenzia il vantaggio competitivo che la felicità dei dipendenti offre alle aziende.
Ci sono alcune cose sulla felicità dei dipendenti che ogni leader in azienda dovrebbe conoscere ed essere in grado di applicare. E, mentre cerchiamo di emergere da una pandemia globale demoralizzante (e dalla guerra ai confini dell’Europa), faremmo tutti bene a fare il punto su come poter influenzare la felicità e l’ottimismo di coloro che ci circondano sul posto di lavoro.
Ciò solleva la domanda, cos’è veramente la felicità? La letteratura sulle scienze comportamentali fa spesso riferimento alla felicità come “benessere soggettivo”, perché il significato della felicità varia nei diversi contesti.
Come con la maggior parte dei concetti che emergono dalla psicologia, le definizioni variano, ma quando si tratta di felicità, generalmente si fondono attorno a tre aree: la valutazione di una persona della propria soddisfazione per la vita; quante emozioni positive (come divertimento, entusiasmo, ispirazione o orgoglio) si provano; e quante poche emozioni negative (come l’ostilità, l’irritabilità, la paura o il nervosismo) si provano.
La ricerca ha combinato queste tre per ottenere appunto la misura della felicità e i manager d’azienda possono utilizzare questi fattori per creare degli ambienti lavorativi sani e produttivi, arrivando perfino a creare la figura del Chief Happiness Officer, che solo su LinkedIn conta oltre 5.600 professionisti in tutto il mondo.