In attesa di un parlamento dove la presenza delle donne rispecchi finalmente la parità di genere.
di Francesca Dionisi
Le donne italiane hanno dovuto lottare molto per ottenere i seggi in Parlamento ma per una concreta parità siamo ancora lontane dalla meta. Grazie alla riforma costituzionale del 2003 dell’art. 51 Cost., che stabilisce che “sono ammessi alle cariche pubbliche e agli incarichi elettivi i cittadini dell’uno o dell’altro sesso parità di condizioni” e “la Repubblica adotta misure specifiche per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini”, in combinato disposto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana (ex plurimis le sentenze n.49/2003 e n. 4/2010), nel sistema italiano è stato riconosciuto il diritto delle donne ad essere elette.
Nella citata sentenza n. 4/2010 la Suprema Corte ha rilevato come, al riequilibrio tra i sessi nella rappresentanza politica, si può pervenire con un’intensa azione di crescita culturale che porti partiti e forze politiche a riconoscere la necessità improcrastinabile di perseguire l’effettiva presenza paritaria delle donne nella vita pubblica, e nelle cariche rappresentative in particolare. L’introduzione di norme per garantire le quote rosa- sempre a parere della Corte – può solo offrire possibilità di scelta aggiuntive agli elettori, ma non garantiscono che l’obiettivo sia raggiunto, giacché resistenze culturali e sociali, ancora largamente diffuse, potrebbero frustrare l’intento del Legislatore. L’azione di crescita culturale ha avuto una spinta propulsiva importante nel corso dell’ultimo decennio, ma le resistenze culturali e sociali – per usare le parole della Corte Costituzionale – sono estremamente importanti. Un segnale, si spera, potrebbe venire dalla nuova Legislatura, sulla base delle indicazioni che arrivano dal governo europeo.
Ed ancora, anche negli statuti di ogni partito politico, in linea con quanto stabilito dal decreto legge sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti (Decreto Legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito dalla Legge n. 13/2014) sono presenti previsioni dedicate al rispetto della parità di genere. La presenza maschile risulta però ancora irriducibilmente dominante. La stessa Legge individua un meccanismo sanzionatorio soltanto in relazione alle elezioni politiche nazionali. Infatti, nel caso in cui nel numero complessivo dei candidati presentati da un partito per ciascuna elezione uno dei due sessi sia rappresentato in misura inferiore al 40%, è prevista la riduzione delle risorse spettanti allo stesso partito a titolo di “due per mille”. In particolare, la misura della riduzione è pari allo 0,5% per ogni punto percentuale al di sotto del 40%, fino al limite massimo complessivo del 10%.
Al giorno d’oggi la legge elettorale concernente la Camera dei Deputati (n. 52/2015) prevede che il registro elettorale sia composto da candidati di ambo i sessi in ordine alternativo.
Questo il quadro normativo ed in parte giurisprudenziale che fa da cornice e da spinta propulsiva per la nostra Società, le cui regole sociali ed economiche devono essere riscritte dopo la pandemia(causata dal Covid19) e dalla crisi energetica.
Per parlare un po’ di numeri, va rilevato che in oltre 70 anni di storia repubblicana, la partecipazione delle donne italiane al governo e nelle istituzioni politiche è in ascesa, con un aumento dal 5% del 1948 al 35%-36% del 2022.
Nell’ultima Legislatura ad esempio i Senatori erano 209 a fronte di 111 Senatrici.
Il dato, sebbene possa essere prima facie confortante, è al di sotto della media europea ed il percorso, come già anticipato, è ancora assai lungo e non privo di difficoltà.
Si spera quindi che con la nuova legislatura, a seguito anche dei moniti della Commissione Europea ed ispirandosi a governi europei, la presenza femminile aumenti, garantendo una parità di genere, che possa contribuire in maniera sostanziale alle numerose riforme che il nuovo Parlamento dovrà affrontare.
Le donne, con il loro pragmatismo, possono quindi rappresentare il valore aggiunto per riscrivere le nuove regole sociali ed economiche, considerato che il modello precedente ha irrimediabilmente fallito.