Linee guida per migliorare il welfare e gli investimenti aziendali
di Sabina Monaco
La situazione dell’Italia nel contesto europeo
In particolare, l’Italia risulta oggi al 14° posto in Europa per parità di genere, con un punteggio del Gender Equality Index inferiore alla media europea e ben lontano dai primi tre Paesi della classifica (Svezia, Danimarca e Francia), nonostante abbia compiuto il progresso più importante tra tutti i paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni, con un incremento di oltre 10 punti in 7 anni 5.
Questo significativo avanzamento è dovuto principalmente al miglioramento nella dimensione del Potere, ovvero delle “posizioni di leadership”, che si traduce nella presenza femminile in posizioni apicali, grazie a diversi fattori, il principale dei quali è sicuramente l’applicazione della Legge Golfo-Mosca sulle «quote» di genere nei consigli di amministrazione delle aziende quotate.
In particolare, l’opinione più diffusa in tutta la popolazione, ma in maniera rilevante anche tra i giovani, è che per l’uomo la soddisfazione e la realizzazione personale attraverso il lavoro siano di maggiore importanza che per le donne. La visione stereotipata dei ruoli dell’uomo e della donna è correlata anche al fenomeno della violenza di genere.
LAVORO
In termini di partecipazione femminile al mercato del lavoro, qualità e segregazione dell’attività lavorativa in differenti settori, l’Italia si posiziona al 28° (e ultimo) posto in Europa: l’occupazione femminile risulta essere significativamente inferiore a quella maschile, in particolar modo per le donne madri.
Il tasso di occupazione femminile (pari al circa 30%) è minore di quello maschile di oltre 20 punti percentuali. Questa differenza risulta influenzata anche dalla differenza di ore complessivamente lavorate: il 33% delle donne occupate è infatti in regime di part-time contro il solo 8% degli uomini.
La genitorialità ha un significativo impatto negativo sulla condizione lavorativa femminile: la differenza di tasso occupazionale tra madri e padri diventa di ben 30 punti percentuali e rappresenta il divario più grande in Europa; infatti ben il 38% delle donne modifica la propria situazione lavorativa per esigenze familiari (contro il 12% degli uomini) e il 33% delle donne abbandona il mondo del lavoro dopo il primo figlio, con tassi crescenti all’aumentare del numero di figli.
Infine, particolarmente critica appare la situazione femminile nel mondo dell’imprenditoria: a oggi risultano essere poco più di un milione le imprese “femminili”, pari al 22% del totale imprese in Italia, contro una media europea che già superava il 30% nel 2014. Si noti come esistano differenze sostanziali tra le regioni, con percentuali più alte al Sud Italia (27% in Molise e 18% in Trentino- A.A.) e tra i settori produttivi, con imprese attive prevalentemente in settori tradizionali (servizi, sanità, istruzione, alloggio e ristorazione).
Imprese definite da Unioncamere (“Rapporto Imprenditoria Femminile 2020”) come imprese individuali con titolari donna, società di persone con maggioranza dei soci femminile, società di capitali dove la maggioranza delle quote è in titolarità di donne, imprese cooperative dove la maggioranza dei soci è donna.
REDDITO
Considerando la condizione reddituale e finanziaria delle donne, l’Italia risulta essere al 15° posto, e comunque al di sotto della media europea. In particolare, questa differenza appare particolarmente marcata nel settore privato.
Se infatti la differenza retributiva di genere (“gender pay gap”) del Paese viene stimata intorno al 5% (pari a circa € 946 euro annui di minor stipendio per le donne italiane), considerando il solo settore privato, tale differenza risulta di più del 20%, e raggiunge il circa 24% valorizzando anche le ore lavorate.
La condizione economica svantaggiata dura per tutta la vita: il fenomeno del gender pay gap si riverbera anche in un significativo gender pension gap (rispettivamente del 30,8% e 32,1% in Europa ed in Italia), ed entrambi contribuiscono a determinare una minore capacità di risparmio femminile rispetto a quella maschile.
Competenze
In termini di partecipazione all’istruzione, di risultati raggiunti e di segregazione nei percorsi accademici intrapresi (soprattutto per l’istruzione di III livello), l’Italia si mostra al di sotto della media europea e al 12° posto tra gli altri Stati Membri.
Nonostante infatti le donne siano mediamente più istruite degli uomini (il 54% del totale dei laureati europei e il 59% di quelli italiani è donna, in Italia il voto di laurea medio per le donne è di 2 punti superiore a quello degli uomini), la segregazione degli ambiti disciplinari nel mondo dell’istruzione è un fenomeno ancora significativamente radicato.
Se le donne sono il genere di gran lunga più rappresentato tra i laureati nelle discipline di insegnamento, psicologico e giuridico (94%, 81% e 64% rispettivamente20), nei percorsi di studio STEM21 il divario di genere risulta capovolto, con la componente femminile che si attesta solamente intorno al 27% (e al 25% in tutta Europa22). Questo dato risulta particolarmente preoccupante anche perché fortemente correlato al divario di genere in termini occupazionali e salariali, essendo tali competenze quelle attualmente più richieste e meglio retribuite nel mondo del lavoro.
La disparità di genere si evidenzia anche nella carriera accademica, dove, in Italia solo l’11% dei professori ordinari è donna (molto al di sotto delle situazioni più meritevoli, ad esempio quella degli Stati Uniti, ove le donne raggiungono comunque solamente il 28%). Questo fenomeno è rafforzato sia dalle lunghe tempistiche del percorso professionale accademico, che prolunga nel tempo gli effetti di una ancor maggiore segregazione femminile dei decenni precedenti, e sia da un effetto “imbuto”, che accentua la disparità durante i diversi avanzamenti di carriera (a titolo esemplificativo, la percentuale di donne a livello di assistenti professori si più che dimezza a livello di professori ordinari, passando dal 50% al 22% in Finlandia, dal 47% al 28% negli Stati Uniti e dal 33% all’11% in Italia).
Se è vero infatti che in tutta Europa la percentuale di donne coinvolte in attività di assistenza e cura non remunerata è sempre più alta di quella degli uomini, la situazione italiana è significativamente sbilanciata: considerando il divario di genere nella cura della casa, l’Italia è fanalino di coda in Europa con l’81% di donne che vi si dedica tutti i giorni contro il 20% degli uomini (in confronto con il 79%-34% in Europa ed il 74%-56% in Svezia). L’assunto che la gestione della casa e dei figli sia primaria o esclusiva responsabilità delle donne crea, oltre a un significativo dispendio di tempo, anche un aggravio psicologico. Questo fenomeno si è inoltre significativamente e immediatamente inasprito in conseguenza al CoViD-19.
Potere
La fotografia italiana della rappresentanza femminile nelle posizioni di potere e negli organi direzionali di natura politica.
A oggi la presenza femminile risulta superiore alla media europea, principalmente grazie a iniziative quali la Legge Golfo-Mosca: la quota di donne negli organi di amministrazione delle società quotate si avvicina al 40% (38,8% nel 2020), quasi quattro volte di quella registrata prima dell’applicazione della Legge (11,6% nel 2012); nelle società pubbliche le donne ricoprono un terzo delle cariche (33,1% nel 2020) negli organi di amministrazione e controllo, quasi il doppio rispetto al 2014 (17,5%). Tuttavia è ancora rilevante la disparità nelle aziende non soggette alla Legge (dove la partecipazione si attesta solo intorno al 18%25) e in confronto ai paesi più avanzati in Europa (quali la Francia, con una rappresentanza intorno al 44% ed estensione delle quote ad aziende non quotate con più di 250 addetti).
La partecipazione agli organi apicali della pubblica amministrazione è più o meno allineata alla media europea a livello nazionale (con il circa 35% tra Governo e Parlamento), sebbene sia più arretrata rispetto ai Paesi più avanzati.
Continua…