Work life balance: lavorare meglio per vivere meglio.
Agevolare le famiglie con i figli, promuovere la cultura della condivisione della cura dei figli e della genitorialità, favorire una piena uguaglianza di genere nella ripartizione dei ruoli e conciliazione della vita lavorativa con quella familiare, sono tutti principi posti alla base degli obiettivi del decreto legislativo 105 del 30-6-22 che contiene le nuove regole dei congedi parentali.
La nuova disciplina prevede il congedo parentale, per un periodo di astensione facoltativa dal lavoro, per i genitori biologici o adottivi, entro i primi 12 anni di vita del bambino, per un periodo complessivo per entrambe i genitori non superiore a 10 mesi. I mesi salgono a 11 se il padre si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno 3 mesi. In caso di utilizzo di congedo parentale, l’indennità sarà pari al 30% della retribuzione, in caso di congedo fino al 6° anno di età, per un periodo complessivo di entrambe i genitori di 6 mesi; in caso di congedo richiesto tra il 6° e l’8° mese di vita del bambino, l’indennità spetta al 30% solo se l’interessato non supera una certa fascia di reddito e può essere richiesto anche oltre l’ottavo mese di vita del bambino, ma non spetta alcuna indennità.
Diverso è il discorso dei congedi di paternità, rivolti al solo padre lavoratore che, diversamente da quello di maternità, si distingue in facoltativo ed obbligatorio. Il congedo spettante al padre non ha connotati obbligatori, ma lo diventa in caso di presenza di alcuni presupposti come ad esempio la morte della madre, dove in questo caso potrà usufruire di tutto il periodo di congedo di maternità. Quello obbligatorio, invece, è stato portato da 7 fino a 10 giorni, ed è un congedo autonomo rispetto a quello della madre.
Il decreto del congedo di paternità è stato emanato sulla spinta del contesto europeo, dove già a partire dagli anni ’90, si era mosso nella direzione di un riequilibrio tra i generi nella distribuzione dei ruoli familiari e nelle pari opportunità di conciliazione della vita lavorativa con quella familiare.
All’atto pratico, però, sono cambiate le regole ma non è stata fatta una rivoluzione.
Se solo guardiamo all’Europa, ad esempio alla Spagna, entrambe i genitori hanno diritto a 16 settimane retribuite al 100%, in Svezia una coppia ha diritto ad un totale di 480 giorni, 240 a testa o da dividere come meglio credono: 90 giorni però non sono trasferibili, affinchè la cura dei figli sia di ugual peso per entrambe i genitori.
Questi brevi esempi dimostrano come e quanto ancora la nostra società sia ancorata ad una visione patriarcale della famiglia, la quale riflette come la cura della casa e dei figli sia addossata per la maggior parte del tempo alla donna.
Come è possibile pensare che in una società siano sufficienti 10 giorni per garantire la parità tra i sessi?
Per raggiungere veramente una parità, l’obbligatorietà dovrebbe essere prevista ad entrambe i genitori, ovvero parità di congedi prima di tutto, dove “l’imposizione” aiuterebbe sicuramente a diminuire le discriminazioni sul lavoro, come quelle che subisce una donna quando viene scartata ad un colloquio perché potrebbe rimanere incinta.
Sicuramente con il passaggio da 7 a 10 giorni per il congedo di paternità è stato fatto un piccolo passo in avanti, ma è pur sempre un passo infinitesimale rispetto all’enorme divario tra uomo e donna.
Serve uno scatto in più.
Il cambiamento culturale che ci si aspetta deve essere, ancor prima delle Istituzioni, da parte dei singoli, perché i congedi di paternità sono uno di quegli aspetti che impattano sulla vita di una donna, la quale dovrebbe essere aiutata a superare tutte quelle difficoltà con le quali è costretta a scontrarsi ogniqualvolta voglia lavorare e diventare madre.
continua...
Ndr – La seconda parte verrà pubblicata il 21 settembre