Ancora molto lunga e tortuosa la strada per il superamento del Gap gender
Il genere femminile è stato comunemente ed erroneamente definito “debole”.
In realtà, il termine “debole” può essere utilizzato in modo appropriato solo per indicare la situazione di svantaggio, oramai secolare, che caratterizza il ruolo delle donne nel mondo del lavoro sia sotto il profilo occupazionale sia retributivo.
Le donne in genere studiano di più, si laureano prima e meglio ma fanno più fatica a trovare un lavoro rispetto ai loro colleghi maschi e guadagnano molto spesso di meno. Poi, nel caso di congiunture economiche negative, sono le prime a perdere il lavoro.
Un esempio? Pensate a ciò che è accaduto durante la Pandemia da Sars Covid-19; in Italia nel mese di dicembre 2020, il 99% delle persone che ha perso il posto di lavoro, secondo l’Istat, apparteneva al genere femminile (su circa 101.000 lavoratori che hanno perso il lavoro a dicembre 2020, 99.000 sono state donne e solo 2.000 uomini).
Il gender gap, per usare il termine inglese, non è un fenomeno astratto e può essere descritto con numeri ben precisi.
Ad esempio, l’Istat pubblica periodicamente la “Rilevazione sulle forze di lavoro” che contiene anche i dati relativi all’occupazione per genere consentendo di effettuare delle analisi sul gender gap occupazionale tra i diversi settori produttivi e settori industriali.
Le tabelle riportate di seguito sono una elaborazione dei dati pubblicati nei decreti interministeriali del Ministero delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ex art. 4 comma 11 della Legge del 28 giugno del 2012 n. 92.
Per l’anno 2015, iI tasso di disparità medio che è stato rilevato è stato pari al 9,8%. La soglia sopra la quale i settori e le professioni presentano un tasso di disparità uomo-donna superiore di almeno il 25 per cento del valore medio è pari a 12,3%. I settori e le professioni che hanno registrato un tasso di disparità inferiore a tale livello non sono riportati.
Per il 2020, il tasso di disparità medio che è stato rilevato è stato pari al 9,6%. La soglia sopra la quale i settori e le professioni presentano un tasso di disparità uomo-donna superiore di almeno il 25 per cento è pari al 12,1%. I settori e le professioni che hanno registrato un tasso di disparità inferiore a tale livello non sono riportati.
Nel corso di sei anni (confronto dell’anno 2015 con il 2020) non si evidenziano grandi miglioramenti dell’indice di disparità se si considera una diminuzione solo dello 0,2%.
In particolare, dal confronto dei dati sulla disparità di genere dei settori produttivi tra l’anno 2015 e il 2020 emerge la presenza ancora di significative differenze occupazionali con delle accentuazioni nel settore dell’agricoltura (+4,1%) e nel trasporto e magazzinaggio (+0,8%). Sorprende il dato relativo all’informazione e comunicazione che presenta un peggioramento dell’indice di disparità.
Per quanto riguarda le professioni, il confronto dei dati del 2015 con quelli del 2020 evidenzia l’uscita delle professioni legate alla salute; dato probabilmente in connessione con gli effetti della Pandemia e alle relative nuove assunzioni; inoltre, si evidenzia un peggioramento per le seguenti professioni:
- ingegneri, architetti e professioni assimilate (+0,5%)
- artigiani ed operai metalmeccanici specializzati e installatori e manutentori di attrezzature elettriche ed elettroniche (+0,5%)
- artigiani ed operai specializzati della meccanica di precisione, dell’artigianato artistico, della stampa ed assimilati (+0,6%)
- artigiani e operai specializzati delle lavorazioni alimentari, del legno, del tessile, dell’abbigliamento, delle pelli, del cuoio e dell’industria dello spettacolo (+2,5%)