La “prassi” che frena l’ingresso alle donne
di Francesca Dionisi
Il Decreto-Legge n. 77/2021, convertito con modificazioni dalla L. 29 luglio 2021, n. 108 ha introdotto, all’art. 47 “Pari opportunità e inclusione lavorativa nei contratti pubblici nel PNRR e nel PNC”, specifiche misure volte a promuovere le pari opportunità, generazionali e di genere, in relazione alle procedure afferenti gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR e del PNC (Piano nazionale complementare).
Le disposizioni dell’articolo prevedono, da un lato, obblighi dichiarativi e documentali a carico degli operatori economici partecipanti alle procedure di gara e, dall’altro, l’introduzione nei bandi di gara di specifiche clausole dirette all’inserimento di criteri volti a promuovere la parità di genere.
Al fine di perseguire queste finalità al comma 8 il Legislatore ha previsto specifiche linee guida per la definizione di orientamenti in ordine alle modalità e ai criteri applicativi delle disposizioni, con l’indicazione di misure premiali e modelli di clausole da inserire nei bandi di gara differenziali per settore, tipologia e natura del contratto e del progetto.
Ed invero, con decreto interministeriale del 07/12/2021 sono state adottate tali linee guida. Nella redazione delle stesse, ad avviso dei Ministeri competenti, si è tenuto conto del rilevante sforzo di innovazione che l’articolo 47 richiede tanto alle stazioni appaltanti, quanto agli operatori economici. Gli obiettivi di miglioramento dei tassi di occupazione femminile e giovanile avrebbero determinato -nelle previsioni del Legislatore e dell’Esecutivo- modifiche significative nell’esercizio della funzione di committenza pubblica e adeguamenti nell’organizzazione del lavoro delle aziende fornitrici di beni e servizi e di quelle aggiudicatarie di lavori pubblici. I Ministeri, autori delle linee guida, evidenziavano quindi la necessità di osservare attentamente la prima applicazione della disciplina, in modo da valutare le capacità delle stazioni appaltanti di declinare nella specificità delle singole procedure di gara i dispositivi volti ad assicurare meccanismi di incremento occupazionale previsti dall’art. 47.
Con le delibere n. 154 del 16 marzo 2022 e n. 332 del 30 luglio 2022, l’Anac ha altresì provveduto ad un aggiornamento del disciplinare-tipo, al fine di garantire il pieno recepimento delle misure volte alla promozione della parità di genere e generazionale nel settore dei contratti pubblici.
La cornice normativa e le indicazioni da parte dell’Anac appaiono quanto mai valide e di pronta soluzione. Quello che infatti si è richiesto con l’applicazione dell’art. 47 del D.L. n. 77/2021 alle stazioni appaltanti ed alle società, potenziali candidate, non sembrava un’impresa ardua in una società già proiettata, almeno a parole, ad ottenere la parità di genere e l’inclusione del lavoro giovanile. Purtroppo i dati, riguardo proprio l’applicazione dell’art. 47 del D.L. n. 77/2021, raccontati dal Presidente dell’Anac lo scorso 8 giugno, in occasione della presentazione presso la Camera dei Deputati della Relazione annuale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, non sono stati così brillanti; secondo il Presidente i dati confermano che quasi nel 60% degli appalti sopra i 40.000 euro e nel 44% di quelli sopra i 150.000 euro, le stazioni appaltanti non hanno inserito, nei bandi, le clausole di cui all’art. 47 del D.L. n. 77/2021 (!!!!).
Ed invero, quasi il 70% delle gare di appalto PNRR e PNC hanno previsto una deroga totale alla clausola che avrebbe dovuto obbligare le imprese che si fossero aggiudicate detti appalti a occupare almeno il 30% di giovani under 36 e donne: ben 51.850 su un totale di 75.109 affidamenti PNRR o PNC censiti nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici di Anac da luglio 2022 al 1° giugno 2023, ossia il 69.03%. Sono 1900 (il 2,53%) i bandi per cui le stazioni appaltanti hanno chiesto una deroga parziale (ovvero un abbassamento della clausola del 30%) mentre 21.229 (il 28,26%) prevedono il rispetto della quota di giovani e donne prescritta dalla menzionata legge.
I dati fanno riferimento a tutte le procedure di affidamento di qualsiasi importo, censite nella Banca dati Anac e “perfezionate” per le quali cioè è stato pubblicato un bando oppure è stata inviata una lettera di invito,o è stata manifestata la volontà di affidare l’appalto.
Nel 39,29% dei casi (23.666 affidamenti) le stazioni appaltanti non hanno specificato il motivo della deroga indicando tra le opzioni “Altro”; nel 38,8% (23.372 affidamenti) la motivazione è l’importo ridotto del contratto, nel 7,67% (4.619 affidamenti) necessità di esperienza o di particolari abilitazioni professionali, nel 6,43% dei casi (3.873 affidamenti) è la scarsa occupazione femminile nel settore, nel 3,63% (2.189 affidamenti) il mercato di riferimento, nel 3,43% (2.066 affidamenti) il numero di lavoratori inferiore a tre.
Man mano che cresce l’importo dell’appalto, cresce, ma in maniera contenuta, anche il rispetto delle quote per l’occupazione di giovani e donne: quasi nel 60% dei casi (tra deroghe totali e deroghe parziali) negli appalti sopra i 40mila euro e nel 44% dei casi di appalti sopra i 150mila euro, le stazioni appaltanti non hanno inserito, nei bandi, le relative clausole. Infatti, su 27.420 affidamenti di importo superiore ai 40mila euro il 51,55% prevede una deroga totale, il 6,48% una deroga parziale mentre nel 41,65% dei casi la clausola giovani e donne è rispettata.
Il dato allarmante a parere di chi scrive è che nei 23.666 affidamenti le stazioni appaltanti non hanno inteso dare una motivazione alla deroga, dimostrando poca attenzione e sensibilità ai principi stabiliti dall’art. 47 del D.L. n.77/2021.
Forse le linee guida del Decreto interministeriale del 7 dicembre 2021 vanno riparametrate e riviste alla luce dei dati poco confortanti, oppure andrebbe reso più incisivo il menzionato articolo 47. Del resto i dati 2022 sul nostro Paese che arrivano dall’Istituto Europeo per l’uguaglianza di genere, sono assai sconfortanti: con un punteggio di 65 punti su 100, l’Italia è al 14° posto nell’Unione europea (UE) quanto all’indice di uguaglianza di genere. Ciò a dimostrazione del fatto che è necessario intervenire in altre modalità, che le misure ad oggi adottate potrebbero non risultare sufficienti e che, infine, potrebbe essere opportuno assumere sistemi analoghi a quelli di altri Stati Membri come la Svezia e la Danimarca, che hanno sempre portato avanti una politica all’avanguardia sulla parità di genere.