Abbiamo intervistato Giusi Gallotto, CEO di Nuove Reti, Responsabile Dipartimento Comunicazione e Relazioni Istituzionali di AIDI – Associazione Imprese d’Italia, esperta di public affairs, lobbying e comunicazione.
Una donna che ha fatto della competenza il suo marchio.
Il mondo della lobby è percepito da sempre come un mondo maschile. Lei è una delle poche figure femminili che ricopre un ruolo importante nell’ambito dei public affairs. Dal suo punto di vista, il settore al quale appartiene a che punto si trova nel percorso verso la gender equality?
Il lobbying è considerato più propriamente un lavoro da maschi. In realtà l’evoluzione di questa professione verso un approccio multitasking, di contaminazione e coordinamento di diverse attività e competenze, interpreta maggiormente le peculiarità dell’essere femminile. Difatti negli anni, la presenza di donne lobbiste è cresciuta. E questo è un bene. Paghiamo ancora un approccio culturale che fatica a riconoscere pienamente una parità sostanziale: la strada, però, è spianata.
C’è stato un momento specifico del suo percorso lavorativo in cui ha percepito un atteggiamento discriminante in quanto donna? Se sì, quale?
La donna risulta essere più empatica, entra più facilmente in sintonia con l’interlocutore. Questa agibilità, che rappresenta un punto di forza, presuppone, però, uno sforzo maggiore nella resa sostanziale della dialettica. A noi lobbiste, spesso, viene chiesto – ed è un bene sia chiaro – più preparazione e più conoscenza. Non ho vissuto atteggiamenti palesemente discriminanti; mi hanno aiutato il rigore, lo studio e la professionalità.
Come ha risolto i conflitti e superato le difficoltà nel lavoro derivanti dal suo essere donna?
Sono stata fortunata nel mio percorso, perché non ho riscontrato grandi ostacoli. Mi ha animata molto la passione per questo lavoro. Alla luce delle valutazioni condivise prima, una donna lobbista deve sicuramente sviluppare caparbietà e capacità di non farsi scoraggiare da atteggiamenti discriminanti.
Quale è stata la più grande soddisfazione nella sua esperienza professionale?
Quella di essere riuscita a costruire una squadra di professioniste e professionisti capaci e affiatati. La soddisfazione, poi, dei clienti è la spinta propulsiva a fare sempre di più e meglio.
Secondo lei, cosa può fare concretamente una donna, in un mondo ancora troppo “comandato” da uomini, per far sentire la sua voce e far valere i suoi diritti?
Noi donne dobbiamo imparare ad unire le forze, a solidarizzare tra noi. Le monadi rischiano di combattere contro i mulini a vento. Su questo siamo ancora carenti. Non c’è una cultura consolidata del fare gruppo. Per vincere questa battaglia è necessario combatterla insieme.
Cosa dovrebbero imparare gli uomini dalle donne – e viceversa – in ambito lavorativo?
Gli uomini dovrebbero acquisire quella capacità, tutta femminile, di concretezza e problem solving. Le donne, inoltre, riescono ad essere multitasking e si prendono cura del cliente. L’approccio materno è un punto di forza. Noi donne dovremmo, invece, imparare dagli uomini ad essere più temerarie e più competitive in modo sano. Mettere da parte l’impulsività e governare le nostre sensibilità.
Cosa consiglierebbe a una giovane donna che volesse intraprendere il suo percorso professionale?
Ai giovani in generale consiglio di studiare tanto e di essere sempre curiosi e aperti al mondo. Ad una donna, di non avvilirsi, di combattere e di mettere tanta passione. Di definire insieme ad altre donne percorsi di affermazione e crescita, fondati non sul riconoscimento di una categoria in via di estinzione da tutelare bensì sulle capacità e sulle competenze. Solo in questo modo si può contribuire a costruire un mondo che premia il merito.