La collaborazione tra donne è il giusto strumento per vincere le disparità.
“Un tempo odiavo a tal punto il mio essere donna che avrei potuto rinnegarlo. Ma ho imparato a criticare e rifiutare il feticcio della superiorità dell’uomo, e ho riflettuto sul ruolo della donna come nemica e dell’uomo come vile strumento della natura, placandomi di fronte alla conclusione che lo scontro, in ultima analisi, è tra la donna e la natura. E, a giudicare dai dati del censimento, conviene scommettere sulla donna”.
Le parole di Beatrice Hasting – pseudonimo di Emily Alice Haigh – per quanto siano datate più di cento anni, risuonano ancora come un urlo nella società moderna più che come un’eco lontano.
Il suo manifesto femminista Woman’s worst enemy woman – dal titolo volutamente provocatorio – appare nel 1909 sul giornale inglese d’avanguardia The New Age non senza polemiche dato il periodo storico ancora poco aperto al nuovo e una società ingessata e dalle idee ristrette.
Una vera e propria età di mezzo, dove le donne cominciano a conquistare i loro spazi e soprattutto i loro sacrosanti diritti, primo tra tutti quello del voto, non senza innumerevoli difficoltà.
Nel suo pamphlet i toni sono accesissimi, furiosi, così come l’ondata di polemiche e reazioni che la investì dopo la pubblicazione. E non c’è da meravigliarsi, vista la sua abilità discorsiva che smontava una per una, tutte le costruzioni patriarcali che ingabbiavano la donna nel ruolo di moglie e madre.
Ma quanto tutto questo è ancora attuale nella società moderna? Quanto ancora siamo lontani dall’arrivare al riconoscimento del ruolo della donna nella società senza per forza legarlo e relegarlo a quello di moglie e madre? E si badi bene, non è di parità rispetto agli uomini che qui vogliamo parlare, ma semplicemente del riconoscerci – prima di tutto come donne – il nostro spazio.
Uno spazio che spesso ci viene precluso soprattutto dalle altre donne, abituate come siamo a coltivare, verso chi non la pensa come noi o fa scelte diverse dalle nostre, sentimenti che non sono propriamente di sorellanza. Non c’è da biasimarci, anche questo è frutto della società patriarcale in cui nasciamo e cresciamo. Una società che genera quotidianamente conflitti tra le donne, così mentre noi siamo impegnate a coltivare invidie e risentimenti (c’è sempre qualcuna più bella e capace di noi a cui guardare con sospetto, quella che fa carriera a scapito della famiglia, quella che invece non ha ambizioni perché vuole dedicarsi alla famiglia e così via), gli uomini riprendono possesso anche di quei pochi spazi che a fatica ci siamo conquistate.
È arrivato il momento di liberarci dal giudizio – verso noi stesse e verso le altre – e di guardare invece verso un obiettivo che sia comune, che ci leghi in maniera propositiva e ci liberi dalle catene che legano, inevitabilmente, ancora tutte noi.
Dobbiamo acquisire consapevolezza di noi stesse e delle nostre capacità, ciascuna con le diversità che ci appartengono, ed evitare che le strutture sociali ci costringano sempre di più ad un ruolo marginale. Ma soprattutto, dobbiamo comprendere che la competitività delle donne e il fatto che spesso sono proprio le donne le carnefici di altre donne, è espressione del fatto che siamo socializzate nella segregazione e nell’asservimento. E non possiamo più permetterlo.
Tutte insieme possiamo smantellare questo muro, un mattone alla volta. Lo dobbiamo a noi e a tutte le donne che verranno.